Dr. Luca Minetto e Dr.ssa Maddalena Duò – Studio Chiaruttini & Associati
Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, entrato in vigore nella sua ultima versione il 15 luglio 2022 è, come noto, fondato su tre pilastri: l’adozione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, la tempestività nell’intercettare precocemente i primi segnali di squilibrio patrimoniale e/o finanziario e, infine, quale diretta conseguenza, il ricorso a “soluzioni negoziali” quali strumenti da privilegiare per salvaguardare la continuità delle attività imprenditoriali più meritevoli. Il tutto finalizzato, per quanto possibile, a evitare situazioni di insolvenza o dissesto.
Nonostante la rinnovata prospettiva attraverso la quale affrontare la crisi d’impresa, resta ancora pressoché immutato l’assetto normativo delle previsioni penali in tema di bancarotta. Infatti, l’art. 341 del nuovo CCII ripercorre essenzialmente quanto già previsto dall’art. 236 della precedente Legge Fallimentare in materia di bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice in ipotesi di Concordato Preventivo e Accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa.
Tuttavia, il mantenimento di un impianto storico in un codice profondamente rinnovato porta, inevitabilmente, all’insorgere di un evidente paradosso, ossia, l’applicazione del medesimo apparato sanzionatorio a condotte poste in essere in situazioni che approdano a procedure di risoluzione della crisi aventi obiettivi e presupposti diversi. Si giunge, infatti, a equiparare ciò che la riforma ha voluto tenere ben distinto, ossia, da un lato, le (preferite) procedure di carattere negoziale volte al recupero della continuità aziendale e, dall’altro, la (marginale) liquidazione giudiziale che, a causa dello stato di insolvenza che la connota, il più delle volte sfocia nell’uscita dal mercato dell’impresa assoggettata.
D’altro canto, qualora si volesse circoscrivere la disciplina del reato di bancarotta solo all’ambito della liquidazione giudiziale, si ricadrebbe nella mancata riconducibilità a tale fattispecie di quelle condotte che potrebbero essersi consumate anche qualora l’impresa avesse fatto ricorso agli istituti negoziali della crisi.
Si pensi al caso limite dell’imprenditore che ha distratto fraudolentemente il patrimonio sociale a danno dei creditori, senza evidentemente adottare idonei assetti organizzativi, ma che, allo stesso tempo, risulti titolare di un’impresa appetibile sul mercato per un salvataggio attraverso una procedura minore, magari mediante l’apporto di finanza esterna da parte di un terzo, beneficiando così di una sorta di esimente (in tal senso, C. SANTORIELLO, Alcune indispensabili precisazioni sulla bancarotta da concordato preventivo, in Sistema Penale, settembre 2020).
Una soluzione al paradosso evidenziato veniva trovata nell’articolato elaborato dalla Commissione Bricchetti nel luglio 2022, che individuava nello “stato di insolvenza” il criterio discretivo per l’applicabilità del reato di bancarotta. Con tale soluzione, l’anzidetto reato veniva esteso a tutte le procedure, variamente denominate, di gestione della crisi, purché connotate dalla sussistenza di tale stato (cfr. R. BRICCHETTI, Diritto penale concorsuale: la riforma non può attendere, in Archivio penale n.3/2022).
Tuttavia, il lavoro della prima Commissione Bricchetti, si baserebbe ancora su previsioni penali ancorate al solo concetto di “insolvenza”, il quale, come visto, risulta relegato, nella rinnovata disciplina della crisi d’impresa, a un ruolo marginale: ossia quell’inevitabile conseguenza che si manifesterà nei casi in cui tutti i fondamentali pilastri istituiti per evitarla avranno fallito.
La soluzione a quest’ultima evidenza sembra verrà trovata nell’ambito della seconda ipotesi di riforma dei reati fallimentari, per mano della nuova Commissione Bricchetti, ricostituita dal Ministro della Giustizia Nordio, con la previsione di un sistema di misure premiali finalizzato a graduare le pene di cui alla bancarotta, commisurandole alla tempestività di accesso allo strumento risolutorio della crisi e al grado di soddisfacimento dei creditori (i.e. al minor pregiudizio patito).
Qualora la riforma si muovesse in tale duplice direzione, avrebbe il pregio di non escludere a priori dalla sfera di punibilità fatti di bancarotta posti in essere anche nel caso di accesso a strumenti di risoluzione negoziata della crisi d’impresa, riportando così al centro dell’attenzione, quale bene giuridico tutelato, la garanzia patrimoniale a servizio dei creditori e, al contempo, di modulare l’intensità delle pene in relazione ai presupposti dei nuovi strumenti previsti dal diritto della crisi, così da non svuotare di significato l’intento alla base della riforma.
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