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La Cassazione nuovamente sul sequestro dei crediti fiscali da bonus facciate presso Istituti di Credito

Con la recentissima pronuncia n. 41798/2024, la Corte di Cassazione è intervenuta con riferimento ad una fattispecie di sequestro di crediti fiscali generatisi nel contesto del cd. Bonus Facciate, pur mediante la falsificazione dei correlati documenti, presso un istituto di credito.

Il tema è particolarmente interessante, anche in ragione delle riflessioni giuridiche fornite dagli ermellini sia con riferimento all’istituto del sequestro, sia con riferimento alla qualifica dei crediti fiscali suddetti come profitto del reato, in assenza di partecipazione dell’istituto di credito all’illecito.

In primo luogo, ci rammenta la Corte, è opportuno tenere ben presente la distinzione, quanto ai beni possibile oggetto i sequestro, la distinzione tra sequestro “impeditivo” e sequestro ai fini di confisca. Mentre quanto alla prima fattispecie si consente il sequestro delle “cose pertinenti al reato” (art. 253 c.p.p.), quanto al sequestro finalizzato alla confisca è «la natura di quest’ultima che delimita» il perimetro delle cose sequestrabili, e pertanto ove «si tratti di confisca diretta, esse saranno quelle indicate dall’art. 240 cod.pen., le quali presuppongono tutte un collegamento più o meno stretto con il reato e […] incontrano il limite dell’appartenenza a persona estranea allo stesso»; ove, invece, si tratti «di confisca per equivalente, però, può colpire soltanto le cose nella disponibilità del reo».

In secondo luogo, gli Ermellini si soffermano nella valutazione del fatto se crediti fiscali generatisi in relazione alle (false) fatture relative al bonus facciate possano o meno costituire profitto del reato. Per comprendere quanto statuito dalla pronuncia in commento, è tuttavia necessario prendere il via dagli elementi essenziali della vicenda: un’impresa emette fatture (false) per interventi di bonus facciate (in realtà mai eseguiti) sulla base delle quali vengono a generarsi crediti fiscali nella misura al tempo consentita dalla normativa; la medesima impresa cede i suddetti crediti ad una banca ottenendone il pagamento del relativo prezzo.

Ebbene, riflette la Cassazione, in relazione al susseguirsi degli eventi, il profitto del reato sembra essere il corrispettivo pagato dalla banca per l’acquisto dei crediti fiscali, e non i crediti medesimi che non sono stati utilizzati (e quindi portati in detrazione) dall’impresa ottenendone un risparmio fiscale, ma ceduti ad un soggetto terzo.  Sul presupposto per cui la banca non risulta coinvolta nell’illecito, i crediti acquisiti dalla banca medesima non possono ritenersi profitto del reato. Da ciò deriva, pertanto, la inapplicabilità del sequestro finalizzato alla confisca, poiché il bene sequestrato non appartiene né è nella disponibilità del reo.

Soltanto il sequestro preventivo “impeditivo” consentirebbe, al più, il sequestro di beni «di proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, qualora la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reati ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti». È comunque individuabile, infatti, una chiara pertinenza tra il reato edi i crediti fiscali, che appunto si sono generati sul presupposto della falsa fatturazione. Ed a tal proposito già in precedenza la medesima Corte di Cassazione (n. 40865/2022) si era pronunciata, ritenendo che i crediti fiscali di proprietà di terzi cessionari, pur estranei ai fatti delittuosi, ben possano essere attinti da sequestro preventivo impeditivo, in quanto cose pertinenti al reato.

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